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di Manfredo
Manfroi
©
(Presidente del
Circolo Fotografico La Gondola)
Espongono : Enrico Gigi Bacci, Francesco Barasciutti, Pier Giorgio
Bonassin, Aldo Brandolisio, Paola Casanova, Bruno Cot, Sergio Del
Pero,Ezio De Vecchi, Franco Furneri, Gianfranco Giantin, Manfredo
Manfroi, Giovanni Manisi, Mario Mazziol, Paolo Monti, Sergio Moro,
Giorgio Nicolini, Stefano Pandiani, pierocarlo N, Sandro Righetto,
David Salvadori, Massimo Stefanutti, Fabrizio Uliana, Michele
Vianello e l'Autore ospite Luca Campigotto.
Con il piano regolatore del 1891 si prese coscienza
dell'originalità della Venezia insulare rispetto alle altre città
europee cercando di attenuare la mistica del "piccone risanatore"
che a partire dalla dominazione austriaca, in concomitanza con il
declino economico e lo spopolamento della città, aveva mutato non
poco l'antica struttura edilizia veneziana stratificata nei secoli.
Pur in presenza di avvenimenti epocali, come la conversione
ottocentesca del "fronte" della città dal mare alla terra in virtù
dell'avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, il sorgere agli inizi
del '900 del porto verso la terraferma e poco dopo il primo
conflitto mondiale l'insediamento industriale di Porto Marghera, a
Venezia si rafforzò una politica di "conservazione" dell'esistente
guardando sempre con sospetto e diffidenza a qualsiasi nuovo
progetto, anche se di grande qualità.
Se in Italia e nel mondo andò via via affermandosi il mito
dell'unicità del territorio lagunare ( non è casuale il fatto che
nel secondo conflitto mondiale Venezia sia stata completamente
risparmiata dalle bombe come pure non è casuale che per la
protezione dalle alte maree si sia scelto un modello di salvaguardia
che non coinvolge il tessuto urbanistico cittadino) è pur vero che
di fronte all'urgenza di problemi crescenti quali la pressante
destinazione turistica dell'economia e l'emorragia dei residenti
verso la terraferma non siano stati né pochi né marginali gli
interventi nell'edilizia abitativa, commerciale e dei servizi anche
se in misura assai più contenuta rispetto ai pesantissimi
stravolgimenti della sponda di terra.
La mostra inizia descrivendo (Paolo Monti ) l'habitat
veneziano alla fine del secondo dopoguerra : una città dai ritmi di
vita abitudinari e ben lontana dalle gravi interferenze del turismo
di massa, densamente abitata specie nei sestieri più periferici e
popolari simbolicamente posti a confronto con l'attualità (Mario
Mazziol) prelevando un campione, il paludo Sant’ Antonio a
Castello, oggi semideserto.
Si propongono alcune delle innumerevoli occasioni di restauro o
riuso (Bruno Cot, Paola Casanova, Aldo Brandolisio, Sandro
Righetto, Luca Campigotto) come il gasometro a San Francesco
della Vigna,lo squero di San Trovaso, lo Stucky e gli immensi spazi
dell' Arsenale sulla cui destinazione si è accesa da tempo una
querelle senza fine.
Si considerano poi alcuni degli interventi più significativi nel
centro storico e nelle isole ( Francesco Barasciutti, Stefano
Pandiani, David Salvadori, Manfredo Manfroi, Fabrizio Uliana,
Gianfranco Giantin) come le aree Saffa, Junghans,
Trevisan, il quartiere De Carlo a Mazzorbo, il garage del Tronchetto
e anche i maldestri tentativi di inserire nuove opere d'arte nel
centro storico (Sergio Moro).
Sul versante della terraferma dopo l'agghiacciante visione (Sergio
Del Pero ) del villaggio San Marco all' inizio degli anni '50,
"esemplare" campione dello scempio edilizio nel territorio mestrino,
si punta l'obiettivo sulla viabilità (Massimo Stefanutti) e
sulle novità architettoniche, commerciali e industriali (Michele
Vianello, Giorgio Nicolini, Aldo Brandolisio, Pier Giorgio Bonassin)
quali il Centro VEGA, gli ipermercati, l'alveare della CITA, il
Laguna Palace e per finire il parco della Bissuola.
Pur composta di ottantadue immagini, sono certamente molte le
omissioni, spesso di non poco conto, ma lo scopo non è l'elencazione
puntigliosa di quanto fatto ( o non fatto) in questi cinquant' anni
ma fornire lo spunto per una riflessione sull'identità complessiva
della città, sia d'acqua che di terraferma.
Non si è nemmeno calcato la mano su una sin troppo facile critica
agli errori commessi, che pur ci sono stati, anzi la straordinaria
"finzione" della fotografia unita all'abilità degli operatori
conferisce talvolta ai singoli esempi un'apparenza ben più gradevole
della effettiva realtà.
Ciononostante, crediamo che da questa mostra che si interroga sull'
"Identità?" provenga una presa di coscienza su quanto finora svolto
in campo della preservazione e innovazione architettonica , su
quanto va salvato e su quanto si può e si deve cambiare nel centro
storico come nella terraferma imponendo una strategia di interventi
in accordo ma anche in contrasto con le esigenze di un'economia e di
una società che appaiono in tumultuosa e incerta evoluzione.
LUCA
CAMPIGOTTO
è il fotografo ospite della mostra; nato a Venezia nel 1962 si è
affermato giovanissimo come paesaggista avendo come esempio Robert
Adams, Lewis Baltz e gli altri protagonisti della nuova visione
americana.
E' stato assistente di Gabriele Basilico da cui ha tratto il grande
senso compositivo e la qualità tecnica. Divenuto fotografo
professionista fra i più conosciuti del nostro Paese si è impegnato
in alcuni soggetti di particolare interesse come il Molino Stucky
presente in questa mostra, Marghera, l' Egitto, la Patagonia.
Fra i volumi pubblicati ricordiamo "Venetia Obscura" edito
nel 1995.
novembre 2005
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