Il commento  



 
 

Circolo "La Gondola" una microstoria
di Manfredo Manfroi © (Presidente del Circolo Fotografico La Gondola)

aprile 2005

L’orchestrina del Quadri attaccò “ Night and day” per accontentare un gruppo di soldati americani che si godeva il sole settembrino in Piazza San Marco; rari i clienti seduti ai tavolini attorno ai quali i camerieri volteggiavano con  interessata premura.

Era un pomeriggio del 1946; Vasken  Pambakian aveva appena riaperto il negozietto “Fotorecord” ai piedi del  ponte dei Dai da cui si accede alla lunghissima calle dei Fabbri, quando un  signore dall’aria distinta si affacciò sulla porta :“ Mi  scusi, potrei dare un’occhiata a quelle riviste lì in vetrina?”chiese un po’esitante.

“Ma certo, faccia pure..”

L’uomo ne scelse una con cura e cominciò a sfogliarla; lo sguardo era intenso e mentre gli occhi correvano febbrilmente sulle immagini le labbra si muovevano in modo impercettibile facendo vibrare i sottili baffi neri.

“ Molto interessante, davvero…”

“  Ne guardi pure delle altre; non mi disturba… anzi.” Vasken Pambakian gli sorrise, quasi a incoraggiarlo.

 Questa è la ricostruzione di fantasia, ma neanche tanto, del primo incontro fra Paolo Monti e i fratelli Pambakian ; da quel pomeriggio del ’46 iniziava di fatto l’avventura del Circolo Fotografico La Gondola.

Ma come in ogni storia che si rispetti bisogna fare un passo indietro.

 Vasken e Rant Pambakian,  nati a Smirne ma di origine armena, prima di stabilirsi a Venezia avevano peregrinato per mezza Europa incalzati dagli eventi: nel ’20 ad Atene, nel ’43 a Vienna poi nel ’45 l’approdo definitivo nella città lagunare.(1)

Tempi durissimi quelli dell’immediato dopoguerra ma ai due fratelli non facevano certamente difetto coraggio e intraprendenza.

Rant, il genio di famiglia,  aveva progettato una specie di banco ambulante ripiegabile come una valigia; con questo i  due si misero a vendere macchine e accessori fotografici comprati  nei mercatini di Vienna dove Vasken si recava periodicamente per seguire un corso di sviluppo e stampa a colori.

Capitò l’occasione di prendere in affitto il negozio al ponte dei Dai; la merce da esporre era poca cosicchè la vetrina di minor passaggio, quella che si affacciava quasi di fianco al vespasiano di calle Cappello detto “le sette sorelle”, fu riempita di riviste fotografiche, tedesche per lo più, raccolte durante i viaggi all’estero.

Se questa sistemazione fu all’inizio un espediente con il passare del tempo si rivelò l’arma vincente;  proprio le riviste, introvabili in Italia, cominciarono ad attirare nel negozio i non pochi patiti di fotografia che gravitavano attorno all’area marciana.

Anche le “sette sorelle” ebbero un ruolo non indifferente nel destino della Gondola; per accedere all’orinatoio pubblico bisognava passare dinanzi alla vetrina con le riviste. Fu questo percorso obbligato, ad esempio, che fece incontrare Gianni Berengo Gardin con quelli di Fotorecord.

Il primo a frequentare il negozio fu però Gino Bolognini, funzionario delle Generali che in piazza San Marco, a pochi passi, avevano la direzione.

Bolognini era un fotografo esperto, con una precedente esperienza di circolo, il “ Gruppo dilettanti di fotografia artistica”, fondato nel 1940 assieme a Ferruccio Leiss; anche quest’ultimo, nonostante un carattere scontroso e riservato, divenne un assiduo del ponte dei Dai.

In breve altri si aggiunsero: il direttore della filiale Olivetti , Alfredo “Giorgio” Bresciani, un funzionario di banca, Luciano Scattola , e poi altri impiegati delle Generali e della CIT, la compagnia di viaggi:  Piero Gioppo, Bruno Cot,  Fausto Boaretto e  Bruno Rosso.

Gli appuntamenti da Fotorecord erano ritmati dalla chiusura degli uffici; a calamitare l’interesse era  la competenza dei titolari ma anche la loro non comune affabilità.

Può sembrare paradossale, ma ad animare le intenzioni dei Pambakian era un’autentica passione per la fotografia e non già, come sarebbe stato lecito, il senso del profitto; non era raro che qualche cliente capitato nel bel mezzo di una discussione  fosse pregato di ripassare più tardi…

Nel 1946, dunque, anche  Paolo Monti si unì agli altri di Fotorecord; licenziatosi l’anno precedente dalla Montecatini aveva trovato impiego come vice direttore del Consorzio Agrario ed era venuto ad abitare in centro storico in un bell’appartamento ai  SS. Apostoli dotato di una grande soffitta che sarebbe poi divenuta  il suo atelier privilegiato.(2)

Al suo arrivo in città,  pur con una buona conoscenza storica e aggiornato sulle novità europee, Monti nutriva un interesse assai flebile per la fotografia, riconducibile in larga misura a quanto trasmessogli dal padre Romeo,  fotoamatore di buon livello.

Ad accendere la passione che sarebbe poi divenuta  ragione di vita fu sicuramente Venezia che

Monti certamente conosceva prima del 1945; tuttavia furono i percorsi quotidiani e la sua innata curiosità a fargli scoprire una città inedita che gli offriva innumerevoli motivi di riflessione: i muri scrostati, la penombra delle calli interrotta da improvvisi squarci di luce, il disfacimento e la trasformazione della materia che di Venezia sono una costante endemica.

Tutto questo, agli occhi di Monti, diveniva metafora dell’angoscia del vivere e della drammaticità esistenziale e poteva ben essere rappresentato dalla fotografia.

Per stampare le centinaia di immagini che andava febbrilmente raccogliendo si rivolse dapprima al laboratorio dei fratelli Mattiazzo, ma con risultati non soddisfacenti; la stampa era necessariamente di livello standard e non traduceva i “toni” che Monti desiderava.

La  fortuita conoscenza dei Pambakian e degli altri di Fotorecord cambiò radicalmente le cose; per le stampe Monti si affidò a Bolognini di cui aveva apprezzato la grande preparazione  e poi anche a Ferruccio Leiss.

Tuttavia avvertì ben presto che senza il suo diretto intervento in camera oscura non avrebbe mai realizzato quanto aveva in mente; la  frequentazione di Fotorecord assunse dunque una duplice valenza: da un lato egli apprendeva le tecniche più appropriate - dai Pambakian, da Bolognini e Leiss - dall’altro riversava nelle discussioni la vastità e la profondità del  suo pensiero.

Il livello e la qualità del dibattito decollarono d’incanto e nell’occasionale sodalizio cominciarono a delinearsi i ruoli della futura Gondola: Monti guida intellettuale, Bolognini e i Pambakian riferimento tecnico, gli altri a contribuire alla vivacità del dibattito mentre Leiss, coerentemente al suo carattere, si teneva in disparte.

La ragione di questo comportamento derivava probabilmente dalla scarsa opinione in cui Leiss teneva il sodalizio del ponte dei Dai : poco più che un ritrovo dopolavoristico mentre le sue preferenze andavano all’idea elitaria e sofisticata di Giuseppe Cavalli.

Non è casuale il fatto che Leiss  scegliesse di sottoscrivere il manifesto della Bussola apparso sulle pagine di “ Ferrania” nell’aprile del 1947; fu l’evento che scosse quelli di Fotorecord.

Nella buona sostanza, c’era chi finalmente dava concreta attuazione a quanto da tempo si andava discutendo e cioè che la fotografia potesse avere una sua dignità artistica e affermarsi come “ mezzo espressivo originale e autonomo, indipendentemente da qualsiasi precedente” (3)

Si decise immediatamente di fondare un circolo; alla costituzione, oltre a Monti e Bolognini, parteciparono anche Luciano Scattola e Alfredo “Giorgio” Bresciani.

Sulla data effettiva non ci sono certezze anche se è molto probabile che la Gondola sia stata “varata” di fatto nell’autunno del ’47 e ufficialmente il 2 gennaio 1948; una interessante testimonianza proviene da Bruno Rosso che conserva la tessera n. 6 del Circolo con la data del 3 gennaio 1948.

Racconta Rosso : “  Il  3 gennaio del 1948 mi trovavo nel negozio dei Pambakian e Monti dice “ Senta Rosso, le piace la fotografia ?” “ Ah sì, dico, mi piace..” “ Vorrebbe far parte del Circolo La Gondola ? Se vuole, potrebbe essere  uno dei fondatori perché l’abbiamo fondata ieri sera“.(4)

Stranamente i quattro della Gondola non avvertirono la necessità di redigere un documento programmatico; probabilmente, si ritenne che il manifesto della Bussola interpretasse in larga parte le aspirazioni del neonato sodalizio.

Secondo Bruno Rosso anche il nome “ La Gondola”, tutto sommato abbastanza banale, fu trovato da Paolo Monti il quale con il consenso di tutti si mise a capo del Circolo.

I primi anni furono di grande entusiasmo anche se si evidenziarono subito i tratti salienti del Circolo; scrive Gino Bolognini : “ anche se accomunati da un’unica passione, i quattro fondatori si trovarono ben presto a dover lottare prima di tutto con la tipica apatia dei veneziani, poi con le diverse tendenze che in seno al gruppo si manifestavano, con l’aumentare dl numero dei soci e con le preferenze che gli stessi tendevano a portare in primo piano”(5)

Alla fine del 1948 si seppe della costituzione della FIAF cui si decise immediatamente di aderire; fu così che la Gondola essendosi iscritta prima del Congresso Nazionale del 5 giugno 1949 fu considerata Circolo fondatore.

Intanto, ad ingrossare le fila  arrivarono alcuni personaggi di rilevanti doti fotografiche - Giorgio Giacobbi (1949), Carlo Bevilacqua (1951), Mario Bonzuan (1949) –  e altri dal carattere piuttosto “deciso” come Toni Del Tin (1950) e il giovane Fulvio Roiter (1950); il primo si distingueva per l’asprigna modernità del suo reportage e per l’acume critico, il secondo per l’eccellente qualità  palesata sin dai primi scatti.

E’ singolare come le necessità fisiologiche abbiano segnato il destino di due  grandi della Gondola; di Gianni Berengo Gardin abbiamo detto mentre Fulvio Roiter apprese dell’attività del Circolo mentre accovacciato nella campagna di Meolo stava leggendo il quotidiano locale prima di servirsene ad uso igienico.

Partì immediatamente per Venezia e sciorinò baldanzoso dinanzi a Monti e soci una serie di stampe sulle quali c’era ben poco da dire; era nato un campione.

Al ritorno, perso il treno, dormì sino all’alba su una panchina della stazione; è uno dei tanti episodi, entrati un po’ nella leggenda, che punteggiarono la partecipazione di Roiter nella Gondola;  Monti lo elesse suo figlio spirituale sostenendolo e incoraggiandolo come nessun altro socio del Circolo.

La Gondola, sicura di sé, decise di esordire (18 luglio 1951) con una mostra di respiro nazionale : “ La prima mostra del paesaggio veneziano e lagunare “ a cui parteciparono illustri invitati fra i quali Giuseppe Cavalli, Ferruccio Leiss e Gualberto Davolio Marani; la sede, assai prestigiosa , fu la sala degli Specchi a Ca’ Giustinian.

Nel 1953 venne organizzato in città il 5° Congresso della FIAF di cui Monti era stato eletto vicepresidente e nel 1955 fu la volta della 1^ Mostra scambio accogliendo il più famoso circolo francese cioè Le Club 30 x 40 di Andrè Thevenet, e altri famosi.

L’anno successivo la Gondola ricambiò la visita  e venne ospitata a Parigi nientemeno che nelle sale del Musée Guimet; una mostra di cui Daniel Masclet , fotografo e critico di punta, parlò in termini assai lusinghieri definendo la Gondola “ l’école de Venise”.

Il Circolo si confermava una vera fucina di talenti : Federico e Riccardo Gasparotto, Carlo Mantovani; da Senigallia aderì anche Ferruccio Ferroni (1952), seguace dell’idea cavalliana ma che si era fatto catturare dall’effervescenza della Gondola, in questo incoraggiato persino dall’avv. Cavalli (6).

Il 1953 fu un anno cruciale per la Gondola: Monti decise di fare il grande passo cioè di intraprendere a Milano la carriera professionistica lasciando Venezia e la presidenza, assunta da Gino Bolognini con Giorgio Giacobbi segretario.

Fu un passaggio tutto sommato indolore vuoi perché Bolognini e Giacobbi avevano i requisiti per assicurare al Circolo una continuità di elevato livello, vuoi perché Monti, sinceramente legato alla Gondola ne seguiva da lontano le vicende non mancando di fare frequenti sortite a Venezia.

Intanto si affacciava una seconda generazione di autori che avrebbero avuto un peso non indifferente; fra di loro Gianni Berengo Gardin (1954) e Giuseppe “Bepi” Bruno (1954).

Berengo Gardin lavorava nel negozio di specialità veneziane delle zie, in Calle Larga San Marco; il suo primo interesse fotografico furono gli aerei che stazionavano presso il piccolo aeroporto del Lido.

Dopo il casuale incontro già descritto con quelli di Fotorecord, Berengo andò in Francia dove conobbe alcuni illustri: Willy Ronis, Izis, e naturalmente Cartier-Bresson.

 Ritornò ( 1954)  a Venezia portando con sé molte immagini di eccellente qualità; rientrato nella Gondola approfondì l’osservazione ironica e lieve della città che qualche anno più tardi diede luogo al suo primo e forse ineguagliato libro:“ Venise des saisons “.

Berengo fu anche causa indiretta di un profondo dissidio fra i  componenti della Bussola avvenuto nel 1956 a Venezia nell’ ”antro” di Mario Bonzuan dove era stato invitato a mostrare alcune sue immagini.

Cavalli, appellandosi ai “valori formali” al “soggetto-nulla-contante”, le osteggiò apertamente contro il parere degli altri che sostenevano la validità delle istanze realistiche delle nuove generazioni (7);  fu una frattura che non si sanò più e sancì in modo definitivo la crisi che attanagliava da tempo la Bussola.

Giuseppe “Bepi” Bruno capitò per questioni legali nello studio dell’avv. Giacobbi; questi, dopo aver visto alcune  fotografie lo invitò alla Gondola. Bruno era discreto, riservato, ma legò subito con Berengo Gardin con il quale fece ripetute uscite veneziane e un memorabile viaggio nel Sud.

A bordo della sua scassata giardinetta, racconta Giacobbi, erano frequenti i raid cultural/eno/gastronomici  in Friuli, a trovare quelli del “Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia”, i Borghesan, Aldo Beltrame, Italo Zannier;  con i quali si instaurò un clima di  simpatia e intesa intellettuale.

Il rilievo internazionale della Gondola, conosciuta in Europa grazie anche alle collettive a cui era spesso invitata a “scatola chiusa”, si rafforzò con le grandi mostre biennali.

Dopo un prologo nel 1956 – la 3^ Mostra Internazionale - si fece di meglio nel 1957 con la 1^ Biennale di Fotografia; in questa occasione, oltre alla collaborazione con il C.C.F. di Crocenzi, fu decisivo l’appoggio di Romeo Martinez  il direttore di “Camera” , la migliore rivista europea dell’epoca.

Martinez era un personaggio un po’ misterioso, dalle origini non ben definite ma con molti passaporti; profondo conoscitore della fotografia internazionale - si definiva un utilizzatore di immagini-  aveva una grande cultura e un senso critico innato, quasi infallibile.  

In occasione di una mostra a Ca’ Giustinian dinanzi ad alcuni ritratti di Monti, non sapendo di avere l’autore alle spalle, esclamò :” Queste foto sono talmente perfette che i soggetti sembrano quasi inanimati, divenuti degli oggetti”(8)

A Monti questa definizione non piacque e causò una certa ruggine appianata qualche tempo dopo e  tramutatasi rapidamente in solida amicizia e reciproca stima.

Dopo la mostra del 1956, Martinez propose di organizzare una rassegna di valore internazionale incaricandosi di trovare personalmente tutte le immagini che occorrevano.

Fu così che prese corpo la I^  Biennale di Fotografia; disseminati fra le sale del Correr e di Ca’ Giustinian approdarono a Venezia, e per la prima volta in Italia, i fotografi dell’Agenzia Magnum, di Vogue, i migliori autori di Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Svizzera e Svezia. Per l’Italia esposero De Biasi, Horvat, Monti, Roiter e Vender.

Una mostra straordinaria per allora e probabilmente anche per il presente che in città fu abbastanza  apprezzata tenuto conto del tiepido interesse con cui generalmente i veneziani guardavano alla fotografia.

Le Biennali si ripeterono negli anni successivi sempre nei magnifici spazi dell’Ala Napoleonica e di Ca’ Giustinian e furono ancora di altissimo livello: i fotografi di  LIFE e della Condé Nast, la retrospettiva di Robert Capa, le personali di Ernest Haas, di Man Ray (!) e si conclusero nel 1963 con i più bei nomi della fotografia contemporanea e le personali di André Kértész e di Arnold Newman.

Nessun altro circolo italiano dell’epoca fu in grado di proporre un simile ciclo di mostre; a renderle possibili non fu soltanto la collaborazione determinante di Martinez ma anche una serie di favorevoli circostanze e gli abili organizzatori del Circolo a partire dal presidente Giacobbi.

Alla fine degli anni ‘50 la Gondola raggiungeva l’apice della sua fortuna e alcuni nuovi ingressi ne consolidavano ulteriormente la fama: Enrico “Gigi” Bacci, Gustavo Millozzi, Ennio Puntin Gognan, Bruno Bruni, quest’ultimo proveniente da Casarsa dove aveva partecipato alla fervida stagione culturale di Pier Paolo Pasolini ed infine Elio Ciol e Sergio Del Pero.

Per Elio Ciol, anch’egli friulano di Casarsa, la Gondola rappresentò soprattutto un’occasione di approfondimento a confronto con i maestri veneziani; non frequentò assiduamente ma ebbe modo di partecipare ad alcune importanti mostre come quella che la Gondola tenne  presso l’Associazione Fotografica Romana.

Sergio Del Pero, trapiantato a Mestre da molti anni, seguiva un suo personale percorso fuori dalle mode e anche dalla vena lirico/realista che connotava gran parte della produzione del Circolo; la sua fotografia dai neri profondi non fu inizialmente molto apprezzata ma poi rivalutata quando cominciarono a fioccare i riconoscimenti e i premi.

Proprio quando tutto sembrava volgere a favore della Gondola affiorò la crisi che covava da qualche tempo; crebbe il dissenso sulla conduzione dell’avvocato Giacobbi che repentinamente, nel 1958, decise di dimettersi.

 Su questa scelta influì probabilmente il  peso crescente della professione ma non c’è dubbio che chi gli subentrava, Libero Dell’Agnese, avesse altre idee e con lui, almeno così sembrava, gran parte dei soci della Gondola.

In realtà due anni dopo la crisi  si acuiva; nel gennaio del 1960, durante una burrascosa riunione fu deciso di richiamare alla presidenza Monti, da tempo stabilmente a Milano, accontentandosi di una sua  saltuaria presenza.

Il chiaro intento era quello di galvanizzare un ambiente ormai privo di entusiasmo ma soprattutto di ricostituire quel clima culturale e produttivo a cui Monti aveva tanto contribuito.

La cosa naturalmente non funzionò e nel 1961 Dell’Agnese tornava presidente; nel medesimo anno un consistente numero di soci capeggiati da  Berengo Gardin, Bruno, Del Pero e Bacci si dimise    per fondare un nuovo circolo, “ Il Ponte,”alla cui presidenza fu eletto Paolo Magnifichi.

Il nuovo sodalizio tuttavia non fu in grado di raccogliere l’eredità della Gondola sia perché non c’era più lo spirito del vecchio Circolo ma soprattutto perché nessuno dei componenti aveva il carisma e le qualità del vero leader; così dopo qualche tempo “Il Ponte” si sciolse ed ognuno andò per la sua strada.

Il nucleo residuo della Gondola proseguì invece l’attività in cui ormai prevalevano le liturgie del circolo amatoriale ma che faceva tesoro del tradizionale rigore critico e del patrimonio culturale accumulato negli anni precedenti. Furono queste, a ben vedere, le qualità salienti che consentirono alla Gondola di sopravvivere e di proporsi ancora negli anni successivi, sia pure con alterne fortune, come piccolo ma prezioso riferimento per quanti volessero, per dirla con Gino Bolognini, “ coltivare e far progredire la tanto discussa Arte fotografica”.

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