O/24
quotidiane_connessioni
28 Novembre -
15 Dicembre 2006
Spazio Eventi
Mondadori, San Marco 1345. Venezia
Espongono:
Nino Migliori, autore-ospite,
Piergiorgio Bonassin, Enrico Gigi Bacci, Aldo Brandolisio, Stefano
Pandiani, Massimo Stefanutti, Fabrizio Uliana, Michele Vianello,
Francesco Barasciutti, David Salvadori, Alessandro Bettio,
Simonetta Gasparini, Gianfranco Giantin, Mario Mazziol, Giorgio
Nicolini, Alessandro Rizzardini, Pierocarlo N, Andrea Avezzù,
Alessandro Poniz, Giovanni Vio, Federica Palmarin, Paola Casanova.
Fotografo, ergo sum
A Venezia, in Campo della Bella
Vienna, su un muro di mattoni, spicca una frase “descrivi l’attimo,
se ti riesce”.
Immagino che lo sconosciuto vergatore
impugnasse nella mano destra la bomboletta dello spray colorato e
nella sinistra un telefonino con fotocamera, e si riprendesse al
momento della scrittura.
In questo gesto e in quella scritta
si riassume tutta la fotografia contemporanea.
Non perché l’attimo (qui inteso come
evento) abbia perduto quell’importanza che ha sempre avuto nella
filosofia dello sguardo da Henri Cartier-Bresson in poi, ma perché,
adesso, l’evento (l’oggetto dell’eterna ricerca del nostro vedere)
non è più fuori dal mondo del fotografo ma ne é all’interno.
Per convincersi di quanto detto, è
sufficiente guardare in rete le migliaia (oramai) di photoblog.
In quel mastodontico archivio di
immagini personali che è Flickr (www.flickr.com), ci sembra
di nuotare in un immenso album di famiglia nel quale sono mischiati
sonni e risvegli, amori e lutti, sorrisi e lacrime senza alcuna
soluzione di continuità.
Se una volta questo album era
composto solo dalle foto del matrimonio, dei figli, dei viaggi o
della laurea (meglio se tutto buttato alla rinfusa, anno dopo anno,
in un cassetto oppure in una scatola di cartone nel mobile del
soggiorno), ora questi archivi digitali della memoria prescindono da
eventi rituali e si connotano per una serie indistinta di
autoscatti.
Una sorta di “censimento del sé”,
delle proprie relazioni con persone e cose: quasi una prova di
presenza, in ogni momento.
Ma questi esercizi di auto-esistenza
(se non di pura autoreferenzialità) trovano la propria compiutezza
nella condivisione dell’evento con gli altri.
Solo con lo sviluppo di internet e la
nascita di una serie di siti di comunità dove prima esibire e poi
archiviare quelle immagini, l’operazione voyeuristica iniziata con
lo scatto viene portata a perfetto compimento.
Vedere/vedersi/esser visti: una vera
violazione della privacy, ma con il proprio espresso consenso.
Solo il pudore (o il buon gusto)
fermano il fotografo nell’esplorazione di momenti nei quali la
propria intimità dovrebbe prevalere.
Anche se poi basta navigare in rete
(quanto voyeurismo c’é nell’uomo e non solo perché esiste la
fotografia), per trovare siti pornografici nei quali i vari
“amateur” (così vengono chiamati) di tutto il mondo espongono sé
stessi, parti di sé, delle proprie mogli e/o amiche e/o mariti e/o
amici, per capire come anche quel confine – morale prima che
rappresentativo - sia stato travalicato da tempo.
Ed il fenomeno non è solo per le
fotografie: lo slogan di YouTube è “Broadcast yourself”, trasmetti
tu stesso.
Ogni giorno, sul sito di
www.youtube.com - uno dei quindici siti più cliccati al mondo con
circa venti milioni di visitatori ogni mese – vengono editi
settantamila filmati eseguiti con la videocamera o con il telefonino
da parte di utenti americani e non.
Senza alcuna censura, se non quella
del pubblico.
Se, all’inizio, si editavano i video
delle vacanze, ora si vedono filmati su qualunque argomento: reality
sulla propria vita con telecamera fissa, minisceneggiati, lezioni
scolastiche, candidati ad elezioni politiche seguiti in ogni momento
della giornata, ecc.
Il tutto di stretta provenienza
amatoriale, senza alcun palinsesto, né alcuna estetica di
riferimento.
Solo un immenso video sull’inconscio
collettivo della razza umana.
Un’osservazione sociologica del
fenomeno potrebbe far pensare ad un desiderio di vivere insieme, ad
un’esibizione comune della propria vita, anche la più intima.
Probabilmente è così: il fine è
condividere, non certo eventi significativi e socialmente codificati
della vita di ognuno, ma piuttosto momenti estrapolati dallo
scorrere della vita di tutti i giorni senza connotazioni estetiche o
sociali.
É nata così una foto di flusso,
agevolata dalla tecnologia digitale applicata alla fotografia, il
più delle volte indistinta ed inafferrabile, anche perché senza
intenti estetici ma di pura esibizione.
Sono frammenti dallo scorrere in
continuo della vita e il momento dello scatto sembra assolutamente
casuale e legittimarsi solo per essere inseriti in un’unica grande
famiglia, immersi, con tutte le altre immagini, in un grande puzzle
completamente anonimo.
Non è che, nella storia della
fotografia, non ci siano tracce di questo atteggiamento nei
confronti del reale.
L’americana Nan Goldin ed il tedesco
Thomas Tillmans (entrambi negli anni novanta del secolo trascorso)
hanno inteso la macchina fotografica come un’estensione del sé, come
strumento per sfiorare e catturare la propria realtà esistenziale.
Anche il giapponese Araki – con le
migliaia di fotografie scattate ogni giorno e poi incollate sul muro
come un grande affresco delle giornate vissute – e, in tempi più
recenti, l’italiano Nino Migliori - sempre con un significativo
lavoro sulla quotidianità - hanno evidenziato questo particolare
momento della fotografia.
E’ sempre la realtà, con i suoi
molteplici aspetti e con il suo continuo vibrare, ad insegnarci che
alcun momento è da scartare e non vi siano graduatorie di fatti e/o
eventi, né momenti più o meno decisivi.
Tutto il reale può essere degno
soggetto, e non sarà la capacità tecnica a fare la differenza tra le
immagini, spesso interamente delegata al mezzo anche con l’ignoranza
dell’operatore.
A fare la differenza sarà, da una
parte, la carica interiore del fotografo tale da trasformare il
particolare in assoluto e dall’altra l’intenzionalità del gesto
artistico ad evidenziarne i risultati visivi.
Tutti i fotografi citati hanno
comunque testimoniato ed elaborato il passaggio della fotografia
come medium visivo a medium comportamentale.
Il contatto con il mondo (e con il
reale) non sembra più avvenire tramite le due consuete categorie
"dell'io psicologico" e "dell'io tecnologico" con la loro continua
connessione, per cui nell’immagine “emergerà una sorta di componente
emozionale nel caso di sbilanciamento verso l’”io psicologico”,
mentre invece risulterà vincente un’oggettiva impassibilità nel caso
sia a prevalere l”io tecnologico” (1).
Per giungere a questo contatto, vi è
una nuova categoria, "l'io comportamentale" (2) in quanto la
mediazione con il reale avverrebbe sempre per contatto diretto, con
una partecipazione fisica all’evento.
La macchina fotografica serve per
accarezzare la nostra realtà esteriore, come fosse un prolungamento
del proprio essere fisico e psicologico.
Cercando, in fondo, conferma e
definizione della propria identità: fotografo, ergo sum.
Questa particolare risposta alla
domanda che si cela dietro la necessità di uno scatto, non tiene
conto però del fruitore, ma solo del fotografo e delle sue personali
motivazioni, il più delle volte apparentemente inespresse
nell’immagine.
Trattandosi di un’operazione
concettuale, essa deve essere non solo percepita come tale da chi
guarda ma, soprattutto, non giudicata con un metro puramente
estetico.
Chi guarda deve subito interpretare
queste immagini non in senso rappresentativo ma come performance del
fotografo nei confronti della propria realtà, del proprio momento
contingente, lì espresso in forma visiva.
Il tutto secondo un concetto attuale
di fotografia come “prelievo dalla realtà” non come mediazione
simbolica dalla realtà medesima.
Ma il fruitore deve anche porsi una
domanda fondamentale, propria dello statuto della fotografia: è
proprio “il vero” quello che vede?
Verità e fotografia sono assiomi che,
dal 1839, si sono accompagnati reciprocamente.
La fotografia è stata considerata
sempre verità: ora, con lo sviluppo della tecnologia digitale, non
sembra esser più così.
Il principio dell’intangibilità
dell’immagine rispetto alla realtà rappresentata è stato sostituito
dalla capacità dell’immagine di mentire sulla realtà, senza che il
fruitore se ne possa accorgere.
Se, tempi addietro, la falsificazione
dell’immagine fotografica (rispetto alla realtà) era un procedimento
lungo e tecnologicamente incerto, ora la facilità degli strumenti
per modificazione dei files indicano come il principio della
fotografia come certificazione del reale si sia assolutamente
invertito.
La fotografia è, attualmente, solo
un’illusione credibile.
Ciò che conta, alla fine, per chi
guarda un’immagine (sia esso una persona semplice o un filosofo) è
che la fotografia funzioni proprio come una fotografia.
E quest’ultima mostra dei soci del
Circolo Fotografico “La Gondola” – con la prestigiosa partecipazione
del giovane/vecchio Nino Migliori – cerca di dare qualche
risposta alla domanda di senso di questa fotografia contemporanea.
Rifuggendo dall’immersione nel mare
dell’anonimato, questi Fotografi hanno cercato non solo di esibire
le personali relazioni con la propria realtà quotidiana – ponendosi
sempre come protagonisti principali all’interno del fatto/evento -
ma pure di superare uno scontato realismo, affermando e
giustificando le proprie immagini come relative a momenti non
condivisi da altri ma significativi nel percorso di ogni giorno,
adoperando un linguaggio meno rispettoso – ma altrettanto efficace –
dell’estetica propria de “l’école de Venise”.
Allargando, anche, la visione a certi
inquietanti fenomeni del quotidiano.
Se Piergiorgio Bonassin,
Enrico Gigi Bacci, Aldo Brandolisio, Stefano Pandiani,
Massimo Stefanutti, Fabrizio Uliana e Michele
Vianello annotano i propri momenti di vita quotidiana e
testimoniano le proprie relazioni visive con accadimenti
apparentemente banali per chi non sa vederli, Francesco
Barasciutti e David Salvadori indagano sulla continua
violazione della propria riservatezza ad opera di persone e/o occhi
elettronici che – per motivi esteriormente leciti – controllano il
vivere odierno.
Alessandro Bettio, invece,
rammostra il legame che tutti noi possiamo avere con una malattia
mentre Simonetta Gasparini, Gianfranco Giantin,
Mario Mazziol e Giorgio Nicolini fanno del confronto tra
il presente ed il proprio tempo passato la loro cifra
interpretativa.
Paola Casanova si rifà ad un
poetico intimismo casalingo mentre Federica Palmarin si
ferma a riflettere sulla propria identità femminile.
Differenti sono gli approcci di
Alessandro Rizzardini - il quale vede il proprio luogo di lavoro
come un carcere dal quale è impossibile evadere - e di Pierocarlo
N – che rapporta la propria quotidianità alla condizionante
presenza di un aiuto alla deambulazione.
Due eccezioni sono rappresentate da
Andrea Avezzù – con delle immagini su strumenti di uso
quotidiano descritti con valenza iperrealistica – ed Alessandro
Poniz il quale denuncia la presenza e condizionamento della
televisione in qualunque momento della giornata.
Unico fotografo di paesaggio,
Giovanni Vio mostra una serie di anonime ma persuasive
prospettive veneziane, al di là di ogni visione estetica della
città.
Da ultimo, Nino Migliori,
autore-ospite, il quale presenta una selezione di “Checked–one year
under control” (2002) dalla quale è stata tratta una significativa
serie sul food, visto nella sua invadenza nella vita quotidiana e
nel percorso dal supermercato al cassonetto.
A conferma della fotografia come
mezzo espressivo per ricostruire la trama e il senso della propria
identità nelle relazioni con gli altri.
Massimo Stefanutti
(Segretario del Circolo Fotografico La Gondola)
1) così Claudio Marra in “Fotografia e pittura nel
Novecento – Una storia senza combattimento”, Bruno Mondadori, 1999,
pag. 232.
2) sempre Claudio Marra, ibidem, pag. 235.
novembre 2006
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