Il commento |
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Alle h. 18 di
venerdì 18 dicembre 2009
presso lo SpazioEventi
della Libreria Mondadori
a Venezia, San Marco
1345, verrà inaugurata
la mostra del Circolo
Fotografico la Gondola
“Around
Venice”
La mostra è composta da
cinquantasei fotografie
inedite, realizzate nel
corso del 2009 dai
seguenti autori:
Andrea Avezzù, Enrico
“Gigi” Bacci, Antonio
Baldi, Francesco
Barasciutti, Pier
Giorgio Bonassin, Aldo
Brandolisio, Lorenzo
Bullo, Paola Casanova,
Carlo Chiapponi, Benito
Dalla Giustina, Ezio De
Vecchi, Davide
Gasparetti, Simonetta
Gasparini, Gianfranco
Giantin, Matteo Miotto,
Sergio Moro, Aldo
Navoni, Giorgio
Nicolini, Stefano
Pandiani, Giovanni
Puppini, Alessandro
Rizzardini, Aurelio
Rizzo, David Salvadori,
Giorgio Semenzato,
Massimo Stefanutti,
Fabrizio Uliana, Michele
Vianello, Giovanni Vio,
Emilio Zangiacomi
Pompanin.
LE
RAGIONI DI UNA RICERCA:
UN PONTE FRA PASSATO E
FUTURO
Si
può ancora fotografare
Venezia? C’ è ancora
spazio per una
riflessione che si
allontani dall’immenso
deja vu
accumulatosi sulla città
più fotografata al mondo
della quale tutto è
stato ormai carpito,
sezionato,
parcellizzato? E con
quale spirito, con quale
finalità bisognerebbe
intraprendere una
ricerca che appare,
sotto certi aspetti,
quasi improponibile?
Domande alle quali il
Circolo ha cercato di
dare una risposta prima
di realizzare le
immagini che compongono
questa mostra. Per
spiegare le ragioni
della scelta operativa,
è opportuno riandare al
passato, alla nascita
stessa della Gondola e
valutare l’evoluzione
del suo rapporto con la
città.
A
questo proposito, assai
illuminante appare
l’affermazione, spesso
citata, di uno dei
fondatori, Gino
Bolognini:
“
Non permettere più oltre
che la più
bella e fotogenica città
del mondo fosse priva di
un sodalizio ove fosse
possibile coltivare e
far progredire la tanto
discussa Arte
Fotografica”(1).
Sembrerebbe dunque che
la fondazione del
Circolo, avvenuta nel
1947, fosse soprattutto
legata alla bellezza
così stimolante della
città; ciò in parte è
vero anche se altre
circostanze - il nuovo
clima culturale, il
rinnovamento delle arti,
le speranze e le attese
del dopoguerra -
influirono in modo
altrettanto
determinante.
Quel che è sicuro è che
la città fu il primo
soggetto di ricerca
espressiva; ad iniziarla
fu proprio Paolo Monti
(
“Secondo il mio occhio
c’era una Venezia minore
e le sue lagune che non
erano mai state
fotografate fuori dai
consueti schemi
turistici..”)(2)
che tuttavia era più
interessato a proporre
nuove tematiche di
confronto con l’arte
contemporanea - i muri
sbrecciati e corrosi, i
manifesti strappati, le
luci basse e radenti –
piuttosto che aggiungere
ulteriori tasselli al
già ampio repertorio
iconografico tramandato
dalla pratica
ottocentesca. Gli
altri della Gondola,
Berengo, Roiter,
Giacobbi, Rosso, si
espressero da par loro
ognuno cercando nella
città un riscontro al
proprio sentire tradotto
in una visione “nuova”
anche quando i soggetti
erano quelli della
tradizione.
La
Piazza San Marco di
Berengo Gardin non era
la stessa dell’“atelier”
di Carlo Ponti, né la
“Venise à fleur d’eau”
di Roiter era parente di
quella raffigurata dai
fotografi di Naya.
L’operare della Gondola
costituì dunque
un’autentica svolta e
contribuì non poco a
smantellare quella
visione stereotipata che
sino allora aveva
costituito il tratto
saliente e
universalmente
riconosciuto. Con
il tempo, però, questo
“privilegiato” rapporto
finì per affievolirsi.
Non fu un processo
rapido, ma seguì assai
da vicino l’evoluzione
socio/economica
veneziana e la perdita
progressiva
dell’identità originaria
cioè quella trovata
dalla Gondola all’epoca
della sua costituzione.
Anche l’orientamento
della fotografia
italiana e
internazionale aveva
contribuito non poco a
distrarre l’attenzione
del Circolo; passata
l’epoca del grande
reportage, la fotografia
si addentrava nei
meandri del concettuale,
mentre la raffigurazione
del paesaggio rinnovava
linguaggi e tematiche
grazie all’influsso
delle nuove correnti
d’oltreoceano -
Eggleston, Shore ed
altri - con i loro
“dialectical
landscapes”.
C’è
poi da aggiungere che il
successo mondiale, negli
anni ’70, del volume di
Roiter
“Essere Venezia”
aveva posto una sorta di
barriera invalicabile
per qualsiasi azzardo si
tentasse a proposito
della visione sublime. Di
conseguenza, sorse nel
Circolo un contrastante
atteggiamento che
condizionava ogni
iniziativa; la
tentazione di ritornare
a raccontare la città
magari con accenti
polemici era pari alla
constatazione di
trovarsi di fronte a
situazioni già note e
ampiamente dibattute. Fu
così che per molto tempo
si accantonò qualsiasi
ipotesi di progetto; si
condussero comunque
“campagne” di un certo
interesse su zone
circoscritte –
l’Arsenale, la Giudecca,
le nuove realtà edilizie
– che avevano certamente
una loro ragione, ma non
venne considerato
l’insieme delle
trasformazioni sociali,
economiche, territoriali
che alimentavano la
vivace discussione
debordata persino in
ambito internazionale. Ma la
Gondola non poteva,
proprio per le ragioni
già dette, astenersi
oltre; fu così che si
decise di tornare a
raffigurare la città.
Ma
quale
città? I
lunghi dibattiti
preliminari portarono
alla luce due visioni
abbastanza divergenti;
la prima tesa ad
evidenziare quanto, alla
luce delle innegabili
trasformazioni, non era
ancora del tutto
omologato all’esigenza
di una pervasiva
economia turistica, ma,
ancor di più, era forte
l’intento di portare
alla luce quanto di
nuovo e d’alternativo
era stato fatto in
questi anni.
Secondo quest’opinione
era giunto il momento di
riconsiderare Venezia
portandola fuori non
solo dai
“non luoghi”
ma anche, per dirla con
Alberto Arbasino, dagli
“ex
luoghi”
intendendo per ex luoghi
quelli che la codificata
e riduttiva selezione
operata, ad esempio,
dalle reti autostradali
e dalla “valorizzazione”
turistica ci aveva
indotto a scartare, ad
eliminare.
Questi ex luoghi,
esemplificati da Aldo
Cazzullo in
“Outlet Italia”
(Mondadori – 2007), si
trovano ovunque nel
nostro bellissimo e
“martoriato” Paese;
strade come la statale
che percorre la Val
Trebbia o la vecchia Via
Appia, isole come le
Tremiti, aree ex
industriali come i
lanifici del Biellese e,
aggiungiamo noi, la
splendida Torviscosa.
Quanto a Venezia, il
Giudizio Universale a
Torcello, le isole di
San Francesco del
Deserto e San Lazzaro
degli Armeni nonché una
miriade di zone della
città tagliate fuori dei
percorsi turistici:
Madonna dell’Orto con
Tintoretto, San
Francesco della Vigna,
Quintavalle e il Paludo
a Castello, i Carmini
con Tiepolo, ecc. In
terraferma, poi,
l’immensa area – sia
industriale che urbana -
di Marghera, i forti, le
ville e via elencando. La
seconda ipotesi,
viceversa, partiva dalla
presa d’atto
dell’attuale condizione
della città che, specie
per la sponda d’acqua,
appare sotto certi
aspetti irreversibile.
Da
qui, non già una
liturgia dell’”amarcord”
avente il solo risultato
di accentuare ancor più
il distacco da una
realtà ritenuta
immodificabile, quanto,
in una sorta di
“cupio dissolvi”,
il desiderio di
evidenziare quanto nel
giro di quarant’anni era
accaduto in città.
Lo
svuotamento, fisico e
sociale, del centro
storico è incontestabile
né vale dire, ad
esempio, che oggi le
presenze giornaliere
superano mediamente
quelle degli anni ’50,
cioè il massimo della
popolazione residente;
quelle d’oggi sono di
altra specie, formate da
flussi eterogenei
turistici e lavorativi
fra di essi collegati e
rapidamente migratori,
la cui persistenza è
legata a fattori del
tutto estranei ad una
logica di
“polis”
omogenea. La
globalizzazione nei suoi
aspetti più evocati, -
comunicazioni,
trasporti, scambi
commerciali - fa di
Venezia un esempio
paradigmatico tra i più
clamorosi ed estremi. Tra
le tante, due le cause
del cambiamento; se è
vero che in Italia il
destino dei centri
storici – si pensi a
Firenze, alla stessa
Roma – appare simile è
altrettanto vero che
nessuno di questi “gode”
dell’eccezionalità
insulare che, di fatto,
costituisce un
impedimento alla
rapidità dei
trasferimenti e alla
circolazione della
popolazione residente. Ma
più ancora, è l’unicità
del sito a giocare un
ruolo determinante; la
sua bellezza, il suo
“status” monumentale
senza interruzioni ne
fanno una delle mete
preferite dal turismo di
massa, compattato nei
paesi d’origine in
gruppi omogenei per i
quali sono già
strettamente codificati
itinerari, consumi e
permanenze. La
scelta operativa tra i
due percorsi si
presentava dunque assai
impegnativa; alla fine
si decise di accoglierli
entrambi non tanto per
una sorta di compromesso
pacificatore quanto
perché l’idea
complessiva della città
d’oggi non può non tener
conto di tutti gli
aspetti che la
distinguono, positivi o
negativi che siano.
La
seconda domanda,
strettamente operativa,
riguardava il
“come”
fotografare la città.
L’idea che si venne a
formare era quella di
una fotografia che si
mantenesse nel solco
della tradizione
figurativa del Circolo,
cioè molto attenta al
rigore compositivo
tuttavia finalizzato ad
accentuare l’interesse
per il significato; non
già un edonismo estetico
ma un plusvalore teso a
valorizzare il messaggio
complessivo che s’
intendeva trasmettere.
Ventinove fotografi
hanno lavorato per dieci
mesi attorno a questo
progetto; non sono state
concordate direttive o
percorsi specifici ma
tutti hanno agito sulla
base di scelte personali
che si rifacevano, prima
di tutto e soprattutto,
al fatto d’essere
cittadini veneziani e
dunque dotati di ampie
sensibilità ed
esperienza.
Amplissimo il raggio
d’azione – il centro
storico, la terraferma,
le isole, la laguna -
che ha generato una gran
quantità di materiale da
cui, dopo una selezione
assai rigorosa, sono
state tratte le
cinquantasei fotografie
che compongono la
mostra. Il
rapporto tra territorio
esaminato e immagini
prodotte è assai
ridotto; ciò significa
che molti argomenti,
piuttosto complessi da
definire anche con le
parole, sono stati
trattati con non più di
due, tre fotografie. Molto
contiamo
sull’immediatezza e
complessità del
messaggio fotografico,
sulla sua leggibilità a
più livelli e la
capacità di far
riflettere; non si è
abusato, come sarebbe
stato facile, sulle
situazioni limite note a
tutti cercando invece
raffigurazioni che si
prestassero ad una
considerazione pacata,
soprattutto senza
estremismi preconcetti.
Entrando nel merito,
ampio spazio è dedicato
alle tematiche legate al
turismo ( Bacci,
Casanova, Miotto, Moro,
Vianello, Stefanutti) di
cui vengono evidenziate
le porte d’ingresso, le
contraddizioni e
dettagli poco consueti;
si elencano poi alcune
delle nuove
realizzazioni, talvolta
controverse, come il
ponte della Costituzione
(Avezzù, Bonassin) il
Mose (Pandiani) il
People-Mover
(Rizzardini), la nuova
ala Chipperfield nel
cimitero di San Michele
(Gasparini), la punta
della Dogana (Navoni). Non
può mancare il tema
dell’immigrazione con le
sue problematiche sia in
centro storico che nella
terraferma (Semenzato,
Giantin, Chiapponi) dove
particolare risalto è
dato ad alcune
importanti realizzazioni
come la nuova linea del
tram (Brandolisio),
l’abbattimento dello
stabile Cel-Ana (
Nicolini), l’ospedale
dell’Angelo (Dalla
Giustina). Lo
sguardo dei fotografi si
è poi giustamente
soffermato su quanto può
rappresentare l’idea
della continuità con il
passato sia in termini
di residenza che di
paesaggio: la Venezia
monumentale
(Barasciutti, Bullo,
Uliana), quella più
quotidiana (Baldi,
Rizzo, Zangiacomi), il
Lido e la laguna ( De
Vecchi, Salvadori,
Puppini, Vio,
Gasparetti), il tutto
visto con il necessario
distacco ma anche con
una giusta dose di
emozione. Come
sempre, duplice è la
lettura delle immagini,
cioè quello che viene
mostrato e quello che
viene omesso; inoltre,
molte fotografie si
prestano a più gradi di
lettura e a più ipotesi,
com’è ormai regola nella
fotografia
contemporanea. Pur
nella constatazione,
amara, di quanto si è
perduto riteniamo ci sia
ancora spazio per un
rinnovamento che abbiamo
cercato di sottolineare
affinchè l’iperbole di
Baudrillard, cioè la
perdita dell’originale
attraverso le sue copie,
e per copie non
intendiamo solo quelle
fisiche come a Las
Vegas, sia smentita
anche grazie al concorso
del mezzo riproduttivo
per eccellenza, la
fotografia.
Testimoniare in modo
equilibrato il presente
ci è sembrato il
contributo migliore che
un sodalizio, veneziano
per radici, cultura e
tradizione, potesse
offrire al dibattito
sulla città e sulle
improcrastinabili scelte
dalle quali scaturisca
una concreta speranza
per il futuro.
Manfredo Manfroi
(1)
Lettera di Gino
Bolognini d. 18.11.1958
- Archivio Italo Zannier
(2)
Paolo Monti –
Presentazione in “30
anni di fotografia a
Venezia – Il Circolo La
Gondola 1948-1978” -
Marsilio Ed. 1980 La mostra resterà aperta fino al 9.1.2010 in orario 10-22. La mostra “ Around Venice” è una produzione “Circolo Fotografico La Gondola” Tutti i diritti su testi e foto riservati |