Il commento |
Paolo Monti "Si fotografa perché non si sa disegnare; si fa l'arte perché si è vista l'arte, non la natura" Visitando la parte centrale della Galleria d'Arte Moderna di Bologna dove sono allestite le scenografie di quattro opere liriche disegnate da De Vita, un mio amico mi indica un signore armato di macchine fotografiche accoccolato su dei gradini e mi dice «Quello è Paolo Monti»... «Lo conosci?». «Si, vieni che te lo presento». Era da tempo che desideravo incontrare Monti, ma le sue continue peregrinazioni me lo avevano impedito, ora lo avevo a portata di mano, per puro caso. Parlare di Monti è come parlare di storia della fotografia; fu lui infatti assieme a Bolognini, Scattola e Bresciani a fondare il Circolo Fotografico la Gondola di Venezia nel 1948. «Ci sì incontrava tutti nel negozio FotoRecord e li si parlava di fotografia, lì veniva anche Ferruccio Leiss che, prima della guerra, faceva parte del "Circolo fotografico Veneziano"; in quel periodo, frattanto si formava la FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche). Decidemmo, così, di fondare un circolo dove riunirci periodicamente. Ne divenni il presidente e più per la carica che ricoprivo che per la passione, incominciai a fotografare con impegno. All'inizio non avevamo le idee chiare poi la lettura delle riviste, il contatto con altri gruppi stranieri ed italiani, soprattutto con la Bussola, ci consentirono di trovare la nostra strada proprio ribellandoci all' "estetismo crociano", cioè il soggetto non conta niente è il modo come lo si presenta che ha importanza, che aveva caratterizzato la Bussola stessa. Era venuto il momento di parlare con la fotografia anche ispirandosi ai paesaggi pittorici, tirandone fuori il sentimento drammatico, ed alla struttura urbana di Venezia: i muri, il colloquio tra le acque e le pietre che le corrodono, gli spazi attraverso le strettoie si prestavano a questo modo nuovo di vedere. Per un complesso di circostanze La Gondola si è trovata ad essere uno dei circoli più rappresentativi tanto da essere conosciuta in Italia e all'estero, per il suo stile caratteristico detto "Scuola veneziana": lavoravamo con spirito di emulazione, ma i successi dei singoli erano i successi di tutti. Partecipavamo sempre in gruppo sia ai concorsi che ai saloni di esposizione. Nel 1953 ho lasciato il posto che occupavo alla Montecatini e sono passato al professionismo. Avevo 45 anni; non accettavo più di lavorare alle dipendenze di altri e sono partito per Milano con la mia macchina fotografica senza conoscere nessuno». Monti, che a Venezia aveva potuto seguire la pittura frequentando la Galleria del Cavallino, a Milano trova il fratello di Renato Cardazzo che lo inserisce tra gli artisti, inizia così i suoi primi contatti, ritrae le maioliche di Lucio Fontana e i quadri di Crippa, che gli era stato presentato da Beppe Morucchio; dopo soltanto un anno è uno dei tre fotografi della Triennale. «Quando faccio delle foto sono molto cinico, per me una testa è un oggetto, quel che mi interessa quando riprendo un personaggio sono i rapporti di luce, poi considero l'uomo: senza un certo distacco non si riesce a fare i ritratti. L'unico soggetto che mi ha coinvolto sentimentalmente è stata mia nipote, che ho iniziato a fotografare quando aveva 8 anni ed ho seguito durante la sua vita. Oggi è sposata ed ha, a sua volta, una figlia di 4 anni. Il mio più grande desiderio è di riuscire ad arrivare a ritrarre la figlia di mia nipote quando avrà anche lei 8 anni, l'età in cui ho iniziato a fotografare sua madre e poi... basta». Fino al '60 Paolo Monti ha avuto un suo studio, era arrivato ad avere fino a 15 dipendenti, ma a quel punto si è reso conto che era ritornato a fare il dirigente, non il fotografo e allora ha ceduto tutto a un suo collaboratore; anche adesso, quando deve stampare, si appoggia ad uno studio esterno, non ne ha più uno suo. «Un po' alla volta ho lasciato gli artisti e mi sono dato al disegno industriale, poi sono approdato definitivamente alla foto di architettura». Ha illustrato libri su Leon Battista Alberti, l'Architettura dell'Alto Lazio, La Puglia e sta per iniziare uno sul Brunelleschi, cercando di rifotografarne le forme da un punto di vista diverso dal solito, cercando di mettere in rilievo l'idea dello spazio architettonico. «Si fotografa perché non si sa disegnare, dice Paolo Monti, si fa l'arte perché si è vista l'arte, non la natura e si vede quello che si può realizzare con essa. Fra tutti gli hobbies, la fotografia è il più innocuo e ti lascia sempre uno spazio libero d'intervento, anche nei soggetti imposti si può intervenire nella scelta. Penso che in definitiva la fotografia abbia ancora tante cose da dire, perché nasceranno sempre uomini nuovi che usufruiranno dello stesso materiale in modo diverso. Non sono contrario agli automatismi perché liberano l'uomo dalla tecnica per farlo concentrare sui soggetti, ormai le immagini fanno parte della vita». L'ultimo lavoro di Paolo Monti è un audiovisivo su Venezia: 2500 diapositive a colori con musiche del '600 e '700, testi di John Ruskin; è un atto d'amore verso una città che non ha mai dimenticato.
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