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Essere, umani

Per una curiosità dello sguardo

Ma cosa vedo, cosa guardo, e alla fine, cosa fotografo tutti i giorni?

Sono proprio sicuro che quel qualcosa che mi si pone davanti sia la vera realtà o, piuttosto, non sia una grande finzione, magari messa su ad arte da qualcuno più perspicace e furbo di me?

E sono proprio sicuro che l’occhio meccanico (che porto sempre con me) percepisca quanto vedo io o, invece, quanto vuole vedere lui?

E ancora poiché tutto (o quasi) è ora virtuale, che viaggia a velocità incredibile nelle reti, che si materializza per incanto su uno schermo e può scomparire in un attimo senza lasciar traccia, sono proprio sicuro che tutto questo appartenga a qualche parte del visibile?

L’immagine è sempre più potente e in questi tempi di reality più o meno televisivi e di Photoshop, nulla ha più il sigillo della verità.

Adesso, per prima cosa, dobbiamo dubitare: non di tutto e di tutti, ma di come ci viene offerta la realtà.

E il “come” passa attraverso l’uso di una tecnologia: così è sempre stato, dal dagherrotipo al digitale.

Alcuni potrebbero non accettare la nuova "techné": non volere la  macchina fotografica digitale ma la vecchia camera analogica, niente pixel  ma pellicola, niente file ma carta, niente schermi di computer ma bianche pareti con cornici di legno.

Sì e no, allo stesso tempo, è la risposta.

Ogni nuova tecnologia ha cambiato il senso e la funzione dell’immagine che produce: l’uso (mediato) di una stampa all’albumina non è l’uso (immediato) della ripresa digitale, almeno nel suo utilizzo ai più bassi livelli di operatività.

Nessun disvelamento della realtà in questa seconda circostanza ma piuttosto un’appropriazione continua e ininterrotta (quasi filmica) del flusso della vita.

Ma è sempre logos e non ancora sguardo.

Si vuol vedere (e fotografare) tutto nel minor tempo possibile e nello stesso ideale momento.

Crediamo di fare qualcosa  di diverso ed invece facciamo solo sempre quello, e ripetutamente, e senza criterio, tanto poi se non ci soddisfa possiamo cancellare l’immagine sul visore con un colpetto di polpastrello.

Ci vuole un antidoto: bisogna fermarsi, ricomunicare, riguardare, rivelare, risentire, ripensare.

E occorre aver voglia di far questo, uscendo da una noia visiva che sembra esser la principale e occulta compagna dell’avventura digitale.

Guardare come se fosse la prima o l’ultima volta, per dare un senso compiuto a quanto percepiamo, con la curiosità di un bambino.          

Proprio la curiosità (intesa come atto appropriativo del mondo) appare essere la chiave di volta di tutto il sistema: prelevare tracce, indizi, luci, mettere in relazione fatti, comportamenti, azioni, svelare la trama sotterranea delle cose, decrittare il tempo e lo spazio.

Lo sguardo si ferma, percepisce, indaga, conclude con un “prelievo di spazialità e sospensione“ (Luigi Ghirri).

Si vive un’avventura dalla doppia natura nella quale la rappresentazione si separa dalla realtà: ci avviciniamo al diverso, anzi, l’immagine è il diverso stesso.

Siamo vicini (davanti) a qualcosa di speculare da noi ma che è sempre noi.

Tutto vive in simbiosi: l’anima e il corpo, la vita e la morte, il falso ed il vero, la natura e l’artificio.

Ma ora, con un nuovo scintillio di curiosità nello sguardo, possiamo liberamente raccontare noi e l’altro, il legame tra le nostre vite e quelle degli altri, i nostri luoghi e quelli altri, con la coscienza che non sono diversi.

Questa è stata la strada che il Circolo Fotografico “La Gondola” ha voluto percorrere nelle ultime tre mostre collettive.

In “0/24_quotidiane connessioni“ (2006) si è voluto mettere l’accento su una fotografia che guardava al vivere di tutti i giorni, alle relazioni personali, agli ambienti casalinghi e di lavoro.

In “Tracce del presente, una riflessione sulla contemporaneità” (2007) la ricerca si è incentrata su temi che connotano il vivere nel suo insieme e che possono considerarsi emblematici della società d’oggi.

Nella mostra attuale, “Essere, umani“ (2008), l’oggetto mediato sono i rapporti umani e più in particolare l’essere - cioè l’interiorità dell’uomo liberata dalle incrostazioni dell’apparire - oltre agli aspetti più spontanei ma anche quelli più contraddittori che caratterizzano i comportamenti nell’odierna società.

Il novero dei temi trattati è davvero variegato, ma va tenuto sempre presente come non sia la semplice situazione o il comportamento, l’oggetto della ricerca, ma il suo trasfigurare nell’immagine fotografica, sia nel senso più puramente narrativo o in quello simbolico.

E perciò i comportamenti collettivi nelle immagini di Alessandro Rizzardini, Antonio Baldi, Giorgio Semenzato e l’autorità in quelle di Alessandro Bettio; i comportamenti socialmente rilevanti – i rifiuti, le nozze, il tempo libero, la musica, i trasporti – nelle immagini di Fabrizio Uliana, Paola Casanova, Mario Mazziol, Simonetta Gasparini e Pier Giorgio Bonassin; la bellezza fisica nelle immagini di David Salvadori e Matteo Miotto quest’ultimo narratore anche del lavoro, come anche Enrico Gigi Bacci; i giovani e loro esibizioni, l’amore  nelle immagini di Lorenzo Bullo, Stefano Pandiani e Aldo Brandolisio; l’infanzia nell’immagine di Emilio Zangiacomi Pompanin e la seduzione in quella di Andrea Avezzù; gli spazi infiniti e quelli finiti nelle immagini di Michele Vianello e Carlo Chiapponi; il sogno e la dolcezza nelle immagini di Giovanni Vio mentre Massimo Stefanutti e Manfredo Manfroi  affrontano il tema della vecchiaia.

E, alla fine, Giorgio Nicolini e Giovanni Puppini testimoniano sulla religiosità e sull’ultima dimora.

Massimo Stefanutti


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